Più legge e più si convince che siano i libri a scegliere i lettori.
I libri vanno per le loro strade e quando decidono intercettano gli uomini per raccontare storie, aprire mondi, sollecitare risposte.
Il 23 marzo, al gruppo di lettura per adulti, commenteremo La casa della moschea.
Un anno fa, a marzo, sperimentavano uno stravolgimento del nostro mondo ma
quando ha scelto la lista dei titoli, la libraia non ci aveva pensato.
Era concentrata sul viaggio tra i paesi che ne stava venendo fuori (America, Spagna, Iran, Ungheria, di nuovo America).
Poi arriva, imprevista, la lettura di questa saga che è L’ottava vita (per Brilka) e il cerchio si chiude.
Abdolah e Haratischwili sono esuli.
Sono un uomo e una donna che per un mondo stravolto lasciano il paese d’origine e cambiano vita. E nella lingua del paese d’adozione scrivono ciò che erano le loro vite e i loro popoli, prima.
Scrivono di ciò che è stato, del tempo stravolto, e lo fanno nella lingua della nuova vita, perché è l’unica con cui sanno e possono raccontare. Da lontano.
Nino Haratischwili, in un’intervista, dice che nella lettura ha trovato consolazione e così sta accadendo a noi in questo periodo.
Cerchiamo storie che ci consolino, che ci raccontino che il mondo è stato ferito, dilaniato, stravolto ma che la vita – nonostante tutto – ha trionfato.
Noi cerchiamo tra le pagine un senso alla vertigine che a volte ci prende, cerchiamo un senso allo sguardo su un futuro che non abbiamo, cerchiamo una boccata d’aria quando il respiro si fa spezzato.
Cerchiamo e cercando arrivano – inconsapevoli – i libri giusti.
La casa della moschea racconta dell’Iran, di quando si chiamava ancora Persia. Dell’islam com’era e di come può diventare.
La storia racconta del limite disumano che l’uomo può superare.
Lo stesso accade ne L’ottava vita, dove la storia del comunismo si snoda attraverso le vite dei protagonisti.
Accade in modo diverso, accade con risposte e appigli diversi eppure pari è l’angoscia, identico l’orrore, simile la strategia crudele che il potere può adottare.
Ma qualcosa di bello resta. Nella fame, nella disperazione, nei tradimenti. Persino dalle torture possono nascere semi.
C’è come ogni volta un gesto, un pensiero, uno sguardo, un segno che ricorda che l’umanità resiste.
Sarà la natura, l’amicizia, l’empatia. Sarà lo sguardo di uno storpio, sarà la musica o la danza ma ci sarà sempre uno spiraglio positivo a cui aggrapparsi.
Ecco, mentre leggeva, pensava che due testi, da due prospettive diverse, (Abdolah scrive della sua famiglia e di una storia che gli è anagraficamente più vicina, mentre Haratischwili narra del popolo e delle donne da cui proviene e da quegli orrori è più lontana e si avverte), ricordano che la storia accade e riaccade. Che bisognerebbe studiarla meglio e di più
Perché non si ripetano errori e crudeltà.
Perché si riesca a guardare al di là di questo presente. Sapendo che stiamo attraversando la storia e da questa pandemia, prima o poi, usciremo. Anche noi.

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