Aveva scritto un post, qualche giorno fa, raccontando del piacere della lettura condivisa.
Aveva raccontato del dialogo tra fautori della lettura autonoma e i promotori della lettura condivisa.
Quel post aveva una prima parte che non aveva pubblicato.
Le sembrava di aver messo insieme troppe cose.
Eppure il post nasceva da lì, dalla riflessione, tristemente attuale, di quel sottovalutare il potere, e gli effetti, delle immagini, della comunicazione digitale, di abbassare la guardia davanti allo schermo e di alzarla qui, in libreria, quando si sceglie un titolo.
No, questo no, troppe pagine.
No, questo no, troppi temi duri.
No, questo no, che si spaventa.
E poi ti accorgevi, chiacchierando, che a quei bambini avevano dato in mano un cellulare e messo sullo schermo film e serie tv adatti a ben altre età e consapevolezze.
Ci sono modi diversi di spaventarsi.
Ci sono modi diversi di conoscere tematiche dure eppure vere.
Ci sono i libri.
C’è il filtro delle parole. La delicatezza delle parole. L’evocare delle parole. L’accennare delle parole. Lo stemperare delle parole. Il suggerire delle parole.
Per quanti anni è?
Domanda incomprensibile per chi scrive.
Dipende, risponde lei, che su certe cose va di buon senso e mai di regole uguali per tutti.
Dipende dalla capacità di decodificare che non è uguale per tutte le età. Dipende dalla sensibilità. Dal vissuto. Dalle vicende di ognuno. Dalla storia unica di ciascuno di noi.
Mi sta facendo tante domande. Già, fa lei, perché stiamo scegliendo un libro per un bambino e per questo dobbiamo averne cura e rispetto.
Ecco, mentre legge gli ultimi dolorosissimi fatti di cronaca, si domanda se quando si sceglie di consegnare un cellulare nelle mani di un bambino ci si pongano tutte queste domande.
Se ci si domanda per che età sia, che temi tratti, che linguaggi usi quello che viene considerato un social, neutro, così diffuso, così noto.
Ci sono sensibilità diverse in bambini della stessa età, come tra gli adulti.
L’impatto di una parola è diverso dall’impatto di un’immagine fruita senza consapevolezza.
Sulla parola ci puoi tornare. Sulla parola ci puoi lavorare. La parola la inserisci in un contesto.
Un’amica mi ha detto: ma secondo te cosa attrae di Frozen? Secondo te cosa colgono i bambini? Hai pensato davvero, mi ha incalzato lei, a chi rappresenta Frozen? Hai pensato al mondo di ghiaccio che la circonda, al freddo? Al gelo?
No, non ci aveva mai pensato.
Ecco, noi cerchiamo, proviamo, tentiamo, di stimolare domande e sollecitare dubbi. No, non tutti i libri sono per otto anni. No, non tutti i bimbi possono leggere lo stesso libro alla stessa età perché significherebbe non vederli, non guardarli, non accorgersi delle caratteristiche di chi hai di fronte.
Noi siamo per la lentezza, per il non anticipare, per il non correre, per il non saltare le tappe.
Ci sarà il tempo, ci sarà il momento.
La libraia ricorda ancora l’incipit della lettera di una ragazzina ebrea che scriveva ai genitori da un campo di sterminio “Non piangete, io non piango, me ne vado senza lamenti. Vedo il blu del cielo, sento odore di patate bollite…”. La libraia era in quarta elementare, aveva 8 anni perché all’epoca si faceva la primina e non aveva capito, o colto, cosa fossero davvero i campi di sterminio, cosa fossero i fumi di cui parlava la ragazzina ma ricorda l’incipit e quel senso di disagio che le dava quella pagina. Quella pagina su cui erano stati a lungo, lei, i compagni, la maestra. A lungo per raccontare le cose brutte. Per raccontare di bambini come loro che avevano avuto la vita interrotta e strappata.
Quel disagio accompagnato – nel tempo – è diventato esigenza di approfondire e di saperne di più. Gradualmente, secondo la capacità di cogliere che il crescere dell’età le avrebbe dato.
Pensate se quella lettera fosse stata un’immagine proiettata. Un film su un cellulare. Un video su un social e lei lì, sola, a farci i conti.
Pensiamoci la prossima volta che sceglieremo un libro per nostro figlio. Pensiamoci la prossima volta che consegneremo un cellulare in mano.
Creiamo prima la capacità di dire sì o no.
Di saper mettere filtro e distanza.
Di capire cosa sì può fare e cosa no.

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