Addio fantasmi. Di malattia e cura.

Inizia quasi lento. Inizia come chi non sa dove iniziare.
Inizia piano. Come chi si avvia a un racconto intimo e fa quasi fatica a lasciarsi andare.
Va lento. Quasi confuso. Come chi si muove tentoni tra la nebbia dei ricordi.
Inizia e quasi stenti a stare dietro. Pagina dopo pagina ti domandi dove e quando accadrà. Dove ti porterà.
E poi succede. E la rivelazione è talmente profonda, e coraggiosa, che capisci l’incipit e lo apprezzi.
Nadia Terranova scrive Addio fantasmi, da molti immaginato vincitore del Premio Strega.
Scrive e ne viene fuori un’operazione coraggiosa perché descrive quello che nel nostro paese accade di rado: un racconto della depressione. Un racconto della malattia mentale di un padre. E del tentativo della figlia di sopravviverne.
Nadia Terranova descrive la malattia, tale è la depressione, che non è genetica ma ambientale. Ne traccia effetti e ricadute. Ne coglie le sfumature. Ne indaga strascichi ed emozioni.
Perché quel letto in cui il padre si abbandona si riverbera nella vita di tutta la famiglia.
Quel giorno e per sempre. Immutabile come l’ora sulla sveglia.
Perché la depressione segna. Presente e futuro.
Non potranno esserci rapporti sentimentali normali per la figlia, ma solo storie da raccontare.
Non potranno esserci figli per il timore di far ripetere ad altri lo stesso vissuto.
E non potranno esserci più parole tra madre e figlia ma solo distanze fisiche a sigillare distanze incolmabili.
Il racconto non tralascia nulla.
Ci vorrà un’’altra morte – tragica e estranea alla storia – a rimettere per un attimo in relazione madre e figlia. Sarà solo un soffio, però.
Ci ha messo un po’, la libraia, a scrivere del libro. Ci ha messo un po’ perché le dinamiche e il tema sono cari e vicini.
Perché da anni pensa che di malattia mentale non si dica a sufficienza.
Perché di ciò che accade in famiglia i bambini, i figli, sono cartine di tornasole.
A Nadia Terranova va il merito di arrivare fino in fondo. O quasi.
Perché un’analisi così completa e delicata non è da tutti, perché quelle incursioni nel mondo dei sogni dicono di una ricerca più profonda. Di un’intuizione forse sfiorata.
E allora – in punta di piedi e sottovoce- mi sento di dire che a quest’opera bella e potente, da leggere e rileggere, manca un pezzo.
Manca quella possibilità che si chiama cura,manca, forse, quella teoria della nascita nella quale, seguendo la curiosità, la libraia si è imbattuta alcuni anni fa. E quella certezza che la malattia mentale si cura. E curarla vuol dire interromperne le ricadute e gli effetti. Vuol dire spezzare quello che una volta sembrava un destino. Sfigato.
No, non si dice addio ai fantasmi gettando in mare i ricordi o mettendo chilometri tra noi e i luoghi che ci hanno fatto soffrire. Si dice addio fantasmi separandosi internamente da quelle situazioni. Ricreando l’immagine interna di cui quella sofferenza ci ha privato. Ritrovando l’affetto e la tenerezza per chi -anche malato- ci ha amato. Ricreando noi. E la nostra nascita. E dandoci la possibilità di amare e essere amati.

E allora non posso che ringraziare per questo libro, per questa possibilità di rifletterci e confrontarci.
Di affrontare temi scomodi. Con parole belle.

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