Piccolo è bello. Una libreria per bambini come modello d’impresa sociale

Post di parte. Non piagnone ma di riflessione. Post polemico. Post di inizio anno. Viste le premesse si fermi qui chi vuole.
Finché non ho aperto la libreria, non ho mai pensato ai piccoli esercizi di quartiere come a imprese.
Non ne ho mai immaginato bilanci o business plan. Fatiche e successi.
Ne percepivo il dolore delle chiusure come di ogni fallimento ma non andavo fino in fondo.
Avendo lavorato sempre e solo nei servizi, ignoravo il prima. Quell’investimento preventivo a serranda abbassata. Sottovalutavo lo sforzo fisico e mentale.
Poi apri la libreria e investi. Tutto. Tempo, risorse, sogni e fatiche. Apri e convogli attitudini e competenze, esperienze e contingenze.
Apri e sai che – se chiudessi – qualcosa accadrebbe. Apri e sperimenti che quella responsabilità sociale d’impresa può vivere a più livelli.
Così, complici il passato, i pensieri del presente e, perché no, la rilettura della Fonte meravigliosa per il gruppo di lettura per adulti, quando senti al tg che l’uomo più ricco è il fondatore di Amazon piangi lacrime amare. Di rabbia. Di impotenza. E scatta l’impeto. Di augurargli di più. E di più. Fino al tracollo. Nostro. Fino alla chiusura di tutti gli esercizi di quartiere. Di tutti i piccoli centri di cuore pulsante. Di tutto quello che fa tessuto sociale.
No, non è la moltiplicazione degli spazi a far male, quella fa bene, stimola e costruisce. Arricchisce. Non è la paura del digitale. Non è il futuro. È la consapevolezza della realtà. Dei numeri. Dei costi. È sapere che non si può competere. Che non ci sono strategie o difese. Se non la resa.
Chiudano gli esercizi di quartiere e resti la luce delle strade a fare compagnia. Resti il suono dei semafori a dare il buongiorno. Resti un computer a scaldare mente e cuore nei lunghi pomeriggi invernali o nelle afose mattinate estive.
Restino i corrieri a scambiare due chiacchiere. Quei corrieri di Amazon che – a negozio chiuso – non saprebbero a chi consegnare colli e ordini (posso dare l’indirizzo della libreria per la mia consegna?, cortocircuito del nostro tempo).
Resti il nulla sui marciapiedi di alberi spogli. Restino loro. Restino i magazzini e i loro turni. Restino gli sconti. Le offerte e le vie deserte.
Apri una libreria e si crea un luogo. Uno spazio. Di aggregazione e condivisione. Un luogo per stare e progettare. Un luogo dove ancora leggere e ascoltare. Un luogo dove si può ancora imparare. Uno spazio per strada, uno spazio comune per ritrovare e sperimentare quell’umanità desiderata e perduta.
Ma quel luogo, mentre Amazon scala, domanda una ragione economica. Non congruo/non coerente dicono gli studi di settore. Non congruo/non coerente per gli incassi che sono troppo bassi e non per gli affitti che sono alti. Non congruo/non coerente per il giro di affari creato. Perché gli sconti non si fanno, e diglielo tu al cliente di quartiere, perché il caffè non si offre (come se a casa lo pagassi) e i servizi per i fratelli hanno tariffe ridotte (che la crescita della natalità non la vogliamo).Non congruo/non coerente per il mondo presente.
Ma che importa? Che ti importa? Penseranno a tutto loro. Ci penseranno – di certo – le associazioni filantropiche degli uomini più ricchi. Ci penseranno loro. Anche in Italia. Anche nelle singole strade di quartiere. Dove gli esercizi storici tengono in vita anziani ancora impegnati. Dove il lavoro riduce la spesa sanitaria e il bisogno di assistenza. Ci penseranno loro quando tu, stancamente, deciderai di mollare l’impresa. Di non lavorare la sera. Quando sosterranno che non vale l’impresa. Ci penseranno loro a non varare leggi a sostegno di chi ci prova.
Hai fallito allora? No, perché ci hai provato. No, perché hai osato. No, perché hai rischiato. E un segno hai lasciato. Comunque vada.

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